Io e il cibo ci amiamo e,contemporaneamente, ci odiamo appassionatamente.
Già esserne coscienti, dicono, è un buon punto d’inizio.
Sono un’ottima cuoca e mi piace spesso variare e sperimentare ma, come tutti i maniaci psicotici, anche io a volte ho delle fissazioni di tipo alimentare. C’è stato il periodo del mais che mangiavo a grandi cucchiaiate nemmeno fosse yoghurt; il periodo della galletta di mais in cui sgranocchiavo in continuazione lasciando dietro di me briciole degne d'un novello Pollicino; il periodo delle arachidi segnato da dolorosissimi torcimenti di panza, e…insomma, ci siamo capiti.
Ora c’è il periodo del pollo, rigorosamente di rosticceria. Il perché mi è ignoto.
Non iniziate col dirmi che il pollo si mangia senza pelle, eretici!
A me il pollo piace croccantissimo e la parte che preferisco è il “boccone del prete”, anche detto volgarmente “culo”.
Sul lavoro, quando la sera prima, per mera pigrizia e meschina premeditazione, dimentico di prepararmi il pranzo per l’indomani, il mio pasto ideale diventa immancabilmente il mezzo polletto di rosticceria. Mi sazia per le 24 ore successive e placa la fissazione del momento. Sfiga vuole che, nel 90% del casi, la parte di pollo che mi capita è senza la mia agognata prelibatezza!
Di solito, o trovo il pollo già tagliato o, se me lo tagliano al momento, mi danno sempre la parte sfornita.
Certo, direte voi, sarebbe così semplice chiedere l'altra parte ma… voi mi ci vedete, così garbata e carina come io sono, a dire:
“Aho, vojo la parte cor culo”.
Sì, insomma, ste cose le signorine a modo non le dicono…